Economia e Pace :un’alleanza possibile -Anna Maria Tarantola Centro San Domenico -16 .1.2025
Stefania Aristei
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Finanza per la pace Versione ristretta
Economia e Pace: un’alleanza possibile
Bologna, Centro San Domenico 16 gennaio 2025 ore 21
Anna Maria Tarantola: “L’economia della pace: il ruolo delle banche”
Ringrazio Padre Bertuzzi per avermi inviato a partecipare a questo incontro che affronta un tema di grande attualità e complessità.
Parlare dopo il Governatore Panetta e in presenza di Sua Eminenza il Cardinal Zuppi mi mette un po’ in imbarazzo…Inoltre l’argomento che mi è stato affidato non è facile: collegare pace e finanza è veramente arduo, lasciatemelo dire, considerata l’ampio ammontare di finanziamenti erogati dalle banche al mondo della produzione e commercio di armi.
Prima di addentrarmi nel rapporto banche – pace vorrei partire dalla definizione del termine pace cui farò riferimento.
Papa Francesco nella sua Prefazione al libro “Giustizia e pace si baceranno”, edito da LEV e l’Arena nel 2024 scrive che la pace indica “non tanto l’assenza di guerra bensì la pienezza di vita e di prosperità” e che condizione fondamentale perché questo tipo di pace si realizzi è quella della “lotta al proprio egoismo”, attivando piccoli gesti, parole, abitudini, “piccoli tasselli di pace” che “se si saldano insieme, costruiscono una pace grande”.
Quindi per perseguire la pace dobbiamo cambiare il nostro modo di agire, come individui, lottando contro il nostro egoismo, ma dobbiamo anche perseguire una pienezza di prosperità e questo chiama in causa l’economia e la finanza.
Cosa significa l’espressione “Pienezza di prosperità”? Mi riferirò ancora una volta al Santo Padre che nel Suo discorso alla Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice (FCAPP) del maggio 2016, ha auspicato che i lavori della Fondazione fossero orientati a “contribuire a generare nuovi modelli di progresso economico più direttamente orientati al bene comune, all’inclusione e allo sviluppo integrale, all’incremento del lavoro e dell’investimento nelle risorse umane.
Vorrei evidenziare che il Papa parla di progresso economico non di crescita, di uno sviluppo cioè che abbia al centro il benessere e la felicità di tutte le persone, nessuno escluso, e la tutela del Creato attivando un cambiamento epocale oltre che nel nostro stile di vita, nelle strategie e nell’organizzazione delle imprese e delle banche, delle istituzioni, della politica, realizzando un nuovo modello di capitalismo dal volto umano.
Mi sembra significativo che un convegno che si occupa di pace si occupi anche di cosa può fare la finanza per agevolare la pace. La finanza è uno strumento potente, con i suoi finanziamenti può veramente contribuire alla realizzazione di una economia e di una società al servizio delle persone e del pianeta.
In concreto le Banche attraverso le proprie scelte di allocazione delle risorse possono contribuire ad evitare le guerre e promuovere la pace decidendo, come organizzazioni di non finanziare la produzione e il commercio di armi e come organismi operanti nell’ampio contesto economico e geopolitico di attivare il loro potere in ambito istituzionale e sociale favorendo iniziative a livello nazionale e internazionale a favore della pace.
Purtroppo i finanziamenti alla produzione e al commercio di armi sono rilevanti. Secondo il rapporto “Finanza di pace, finanza di guerra” questi finanziamenti sarebbero dell’ordine di mille miliardi di dollari. Questi numeri potrebbero sottostimare il fenomeno. Infatti le guerre in Ucraina e in Palestina hanno fatto aumentare la produzione e il commercio di armi e crescere il valore delle azioni delle imprese produttrici di armi rendendo ancora più profittevole l’investimento nelle imprese operanti nel settore. Le grandi società di investimento continuano ad acquistare e a proporre ai loro clienti l’investimento intitoli emessi dai produttori di armi.
Forse ricordiamo tutti che nel 2019 particolare rilievo venne dato dai mezzi di comunicazione allo “Statement on the Purpose of a Corporation” della Business Roundtable i cui contenuti evidenziavano un importante cambio di passo. I 181 CEO di grandi ed influenti aziende statunitensi, tra cui grandi banche, si sono impegnati per iscritto a porsi come obiettivo la creazione di valore per tutti coloro che direttamente o indirettamente concorrono al successo dell’attività dell’azienda (dipendenti, fornitori, clienti, comunità, territori) e la tutela dell’ambiente. In tal modo, anche se indirettamente, si sono impegnati a non realizzare e a non finanziare la produzione e il commercio delle armi che uccidono le persone e distruggono il creato.
In realtà le grandi organizzazioni mondiali continuano a produrre, commerciare e finanziare le armi e quindi le guerre. Recentemente alcuni dei firmatari dello Statement (BlackRock, Goldman Sacks, Wells Fargo, Citi, Bofa, Morgan Stanley, J.P Morgan Chase) hanno abbandonato il Net Zero Asset Managers in relazione ai mutamenti della politica e del timore di minori profitti, facendo venire meno il loro impegno per la decarbonizzazione. Non è un bel segno.
Non ci sono quindi prospettive di un cambiamento?
In realtà alcune iniziative di cambiamento ci sono e vale la pena di segnalarle.
Il Comitato Investimenti del Vaticano due anni fa ha dettato alcune linee guida che le entità vaticane devono seguire nelle loro decisioni di investimento vietando il finanziamento della produzione e commercio delle armi, analoghe indicazioni si ritrovano nel documento Mensuram bonam pubblicato nel 2022 dalla Pontificia accademia delle Scienze che fornisce consigli di investimento basati sulla fede per le entità e i fedeli cattolici.
La Global Alliance for Banking on Values (GABV), che raggruppa 70 banche di varie parti del mondo, in occasione della 16a Assemblea annuale che si è svolta in Italia nel febbraio 2024, ha firmato la Dichiarazione di Milano in cui gli aderenti al GABV si impegnano ad adottare nella loro attività una prospettiva umanitaria e a condannare fermamente ogni tipo di violenza, combattimento o guerra, in qualsiasi circostanza e ovunque avvenga.
Purtroppo la percentuale di risparmio gestito dalle 70 banche aderenti alla GABV, è ancora minoritaria nel mondo (si parla di poco più di 200 miliardi di dollari pari a circa lo 0,20% degli asset totali in gestione nel mondo).
Segnali positivi emergono anche da un’esperienza che come FCAPP, in collaborazione con Prospera-Progetto Speranza, stiamo facendo a Milano e che nasce da uno stimolo di Papa Francesco che nel corso dell’udienza privata concessa alla Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice il 23 ottobre 2021 ha invitato la Fondazione a pensare su come realizzare un dialogo tra finanza, umanesimo e religione.
Nel 2022 siamo riusciti ad avviare a Milano, principale piazza finanziaria italiana, in collaborazione con Prospera-Progetto Speranza, i Dialoghi per una Finanza Integralmente Sostenibile cui hanno aderito circa trenta rappresentanti del mondo economico-finanziario italiano tra cui i Presidenti delle cinque più grandi banche italiane e delle due più rilevanti banche estere operanti in Italia.
Gli incontri si tengono presso l’arcivescovado di Milano favoriti anche dal sostegno attivo dell’arcivescovo SE mons. Mario Delpini.
L’obiettivo primario dei Dialoghi è quello di ragionare sul fine ultimo della finanza che, ricordiamo, è uno strumento non il fine, sui valori sottostanti e sulla possibilità di perseguire insieme da una lato l’efficacia e l’efficienza e dall’altro la sostenibilità integrale, l’inclusione, l’etica; di valutare come far sì che i ritorni finanziari e le esternalità positive sociali e ambientali possano diventare complementari; di come agire affinché la finanza sia uno strumento a somma positiva.
Dagli incontri sono emersi alcuni semi positivi:
- la disponibilità dei vertici aziendali a discutere di queste tematiche, talvolta con un po’ di pudore, e ad analizzare le modalità attraverso cui si renda possibile adottare la configurazione di “buona finanza” indicata dalla Dottrina Sociale della Chiesa e in particolare dal Santo Padre;
- l’orientamento verso una nuova visione aziendale di lungo periodo e il conseguimento del bene comune come elementi rilevanti delle strategie aziendali;
- La consapevolezza della necessità di un cambiamento, oltre che delle strategie, dei modelli organizzativi0, operativi e valutativi e di affrontare le complesse questioni di sostenibilità in modo integrato con la transizione digitale;
- La già avvenuta realizzazione di concrete azioni di sostenibilità, soprattutto ambientale e dell’inclusione delle donne e la programmazione di altre in campo sociale;
- L’ambizione di molti dei partecipanti di voler essere un punto di riferimento per lo sviluppo economico, sociale e culturale del Paese.
Diffusa la considerazione che la transizione deve riguardare l’intero sistema economico, sociale e politico con un processo socialmente tollerabile (transizione equa) in ciascuno dei suoi passaggi.
I risultati del primo ciclo di incontri sono stati portati a conoscenza del Santo Padre che ha ricevuto in udienza privata i partecipanti ai Dialoghi il 3 giugno 2024.
Il cammino verso la sostenibilità emerso dai Dialoghi – anche se in larga parte imposto dalla regolamentazione che ha introdotto l’obbligo per le banche di adottare i criteri Environment, Social, Governance (ESG) nella loro gestione – fa ben sperare che anche il fenomeno del sostegno finanziario dei produttori e venditori di armi possa essere oggetto di ripensamento perché questi finanziamenti non sono sostenibili né sotto l’aspetto ambientale né sotto quello sociale e di governance. Il finanziamento delle armi non può rientrare in alcuno modo, anzi è in contrasto con qualsiasi definizione di finanza sostenibile.
Per rendere il cambiamento solido e duraturo sarebbe importante saper valutare il conseguimento di uno sviluppo integrale e sostenibile misurando i progressi fatti: per poter fare questo occorrono nuovi indicatori a livello aziendale, nazionale e internazionale. Il profitto e il Pil, ad esempio non colgono i costi di sostituzione delle risorse naturali, l’inquinamento e la distruzione della biodiversità, l’impatto sociale di molte scelte aziendali e politiche. Robert Kennedy, già più di cinquant’anni fa denunciò l’inadeguatezza del Pil.
Ci sono già indicatori volti a cogliere la multidimensionalità dell’economia: ricordo solo l’Indice di sviluppo umano (Isu) introdotto dalle Nazioni Unite nel 1990 che è diventato uno strumento fondamentale per misurare i progressi delle nazioni e orientarne le politiche di sviluppo e il Better life index (Bli) strumento ideato dall’OCSE, ispirato dalla commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi, istituita nel 2008 dal governo francese per la misura della performance Economica e del Progresso Sociale.
A partire dal 2015 i 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, che comprendono 169 obiettivi misurabili, sono un punto di riferimento fondamentale per orientare le politiche e le valutazioni in numerosi paesi.
Nessuno di questi indicatori ha però la rilevanza del PIL come indicatore di crescita e di confronto tra paesi. Sarebbe necessario calcolare un PIL che inglobi l’impatto ambientale e sociale.
Sul fronte della valutazione delle performance delle aziende il profitto continua ad essere l’indicatore di riferimento: non esiste ancora una unica metrica globale ma diversi criteri realizzati da varie agenzie di rating che non consentono un equo confronto tra diverse banche e imprese. Anzi da alcuni studi è emerso che usando i criteri di diverse società di revisione si hanno risultati diametralmente diversi con effetti devastanti sulle scelte di investimento
Conclusioni
In conclusione qualcosa si sta muovendo anche se molto resta ancora da fare perché la tensione al profitto e ai guadagni di breve periodo è forte e diffusa.
Non dobbiamo però sottovalutare i mutamenti in corso che vanno conosciuti e divulgati. Soprattutto vanno monitorati e valutati per la loro effettiva portata.
C’è un timido orientamento verso un capitalismo umano ed inclusivo ma le difficoltà di una sua realizzazione sono tante. L’Italia, che è stata la culla dell’economia civile e sostenibile e della responsabilità sociale d’impresa, potrebbe svolgere un importante ruolo di apripista nel percorso verso un mondo migliore, senza guerre.
Dovremmo con orgoglio recuperare gi insegnamenti antichi, attuarli e divulgarli. Mi fa piacere ricordare, con una punta di orgoglio:
- il mercante e umanista rinascimentale Benedetto Cotrugli che nel 1458 scrisse “ Il libro dell’arte di mercatura”, pubblicato un secolo dopo, in cui evidenzia le virtù morali, culturali, professionali, etiche, politiche e il corretto stile di vita che devono caratterizzare il “ mercante perfetto “ affinché possa conseguire buoni risultati della sua attività e nello stesso tempo aver cura di tutti i soggetti direttamente o indirettamente coinvolti nella Cotrugli ha di fatto anticipato di oltre cinquecento anni molti dei principi del così detto umanesimo imprenditoriale e della responsabilità sociale d’impresa;
- l’economista Antonio Genovesi, napoletano, che, nella seconda metà del settecento, ha teorizzato l’economia civile. Come ha detto più volte il prof. Zamagni, in Italia lo conoscono in pochi ma lo conoscevano bene Adam Smith e John Maynard Keynes.
- L’ imprenditore illuminato Adriano Olivetti, ma anche tanti altri imprenditori, meno conosciuti, che si sono dimostrati interessati all’impatto sociale del loro operato, sono stati sensibili alle esigenze delle comunità e dei territori di insediamento coniugando responsabilità sociale e profitto.
- Carlo Maria Cipolla, un grande economista italiano emigrato negli USA, prematuramente scomparso, che conosceva bene l’importanza della cura della comunità e dell’ambiente e ricordava che gli italiani sin dal medioevo sono abituati a fare cose belle all’ombra dei campanili.
Possiamo fare tesoro di questi insegnamenti, avere il coraggio, dimenticandoci il mainstream anglosassone del profitto ad ogni costo, di tornare ad inglobare nelle aziende e nel modello di sviluppo i valori della giustizia, del rispetto, dell’inclusione, della sostenibilità integrale.
Qualche anno fa ho assistito ad un convegno in cui un relatore ha ricordato un dialogo intercorso negli anni novanta del novecento tra Cesare Romiti e il Card. Carlo Maria Martini: il primo sosteneva, alla Friedman, che il solo scopo dell’impresa è fare profitto per gli azionisti, il secondo che l’impresa deve essere il lievito dello sviluppo generale e del benessere di tutti.
Una finanza capace di essere il lievito dello sviluppo generale e del benessere di tutti è una finanza per la pace.
Questo è il mio auspicio, so che è un obiettivo è difficile ma possibile.
Anna Maria Tarantola