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La realtà comunicativa odierna, diffusamente interconnessa e profondamente caratterizzata da spinte propulsive e pressioni a forte accelerazione, ci pone nella posizione di perdere la memoria di quanto, pur avvenuto prima, rimane comunque valido e quindi importante da conoscere nella sua esatta forza illocutiva e pregnanza. La corsa sfrenata all’innovazione troppo spesso prescinde dall’analisi approfondita dell’acquisizione solida già esistente, e può inequivocabilmente ed ineluttabilmente indebolire e impoverire chi seriamente voglia invece procedere a reali verifiche. La mancanza di silenzio, inteso come temporaneo e fondamentale vuoto comunicativo per il ristabilimento di senso autentico, è drammatica nelle sue conseguenze di rumore, entropia, fraintendimento, danno interpretativo. Il silenzio pre e post tecnologico dev’essere fondato sulla risposta riflessiva a stimoli selezionati e appropriati, destinati a fornire all’individuo quelle traiettorie ermeneutiche, basate su autentici fili concettuali tesi a ristabilire, quelle corrette interconnessioni fra passato e presente, che sole possono garantire un’effettiva comprensione dei fenomeni comunicativi così come delle distorsioni oggi correntemente in atto.
Oggi più che mai, nel crescere continuo e nel rapido evolversi di modelli e strumenti tecnologici, risulta fondamentale riflettere sulla complessità dei fenomeni pervasivi determinati dalla complessità di risorse e dalla poliedricità di modelli di riferimento, spesso fra loro in evidente o invisibile contraddizione. I livelli di rapida obsolescenza degli strumenti tecnologici portano l’individuo a una situazione emotiva e comportamentale di profondo spiazzamento nei confronti di processi vissuti come estranei ed incontrollabili, creando vere e proprie dissintonie cognitive e diffrazioni comunicative. La quantità di informazioni da gestire oggi è cresciuta vertiginosamente, conseguentemente gli individui coinvolti, che possiamo definire nei termini di veri e propri ecosistemi cognitivi, sono sottoposti a fenomeni di accelerazione mai prima sperimentati. Ogni individuo oggi deve gestire una complessità di fattori il cui rispettivo ecosistema cognitivo, ovvero la mente nelle sue molteplici articolazioni, non è stato preparato a gestire. Gli ecosistemi cognitivi dei singoli sono sottoposti a una vera e propria mutazione percettiva impercettibile, causata dall’enorme pressione provocata dall’eccessiva quantità di informazione disponibile, non filtrata opportunamente o, semplicemente, neppure apprezzata. Questo può provocare le più diversificate reazioni. A una mancanza di formazione complessiva e a una non raggiunta maturità di fronte a tale fenomeno può corrispondere tutta una serie di vere e proprie patologie, che vanno da una sorta di “anoressia da informazione” a una vera e propria “bulimia da comunicazione” a seguito della perdita di contatto sensibile e sensorio nei confronti di un certo evento od oggetto o anche di una certa realtà e struttura sociale.
Sottolineare così fortemente i possibili rischi non significa però porsi nell’atteggiamento negativo di chi voglia bloccare un processo totalmente inarrestabile, quanto evidenziare l’enorme responsabilità che ogni scienziato oggi di fatto ha e da cui non deve prescindere. L’atteggiamento critico implica il riconoscimento obiettivo della necessità di equipaggiarsi dovutamente nei confronti dì una complessità eccessiva, nonchè l’obbligo morale di non causare eccesso di stress introducendo pratiche e metodi che non risultino adatti rispetto a una comunità che non intende o semplicemente non è in grado di accoglierli. La vera scommessa, oggi, sta proprio nel maturare forme armoniosamente integrate, nell’imparare ad alternare nuove risorse con modalità già presenti e valide che non devono scomparire. Ogni sostituzione indebita sarebbe una perdita culturale immensa. La progressiva perdita di pregnanza e scomparsa di modalità a-tecnologiche o pre-tecnologiche, valide ma arbitrariamente considerate obsolete, porta a un progressivo impoverimento concettuale, provocando una vera e propria voragine interpretativa nella continuità culturale, che sola costituisce il modello di riferimento per la delineazione di un’identità propria. Fenomeni di omologazione della comunicazione portano a eccessi dì semplificazione e a forme di accesso impoverito ai contenuti, banalizzati o caricaturizzati nell’estremistica rappresentazione di attributi non rilevanti, soprattutto se in assenza di una presentazione adeguata di valori solidi e stabili di contesto. Si produce così un danno ecologico nei confronti di ecosistemi cognitivi culturalmente costruitisi in modalità autonome indipendenti e distinte nei secoli, assai diversificati e articolati all’interno di logiche coesive, pur se fra loro tanto distanti. Analizzare a fondo le caratteristiche di ogni strumento e, necessariamente, anche le connesse modalità comunicative in tutte le relative e specifiche implicazioni, è fatto fondamentale. Capire partendo dall’errore per superare l’errore stesso è una delle pratiche essenziali della stessa Intelligenza Artificiale. Essere consapevoli di un certo meccanismo vuol dire diventare responsabili e capaci di gestirlo, prevedendone sia i risultati immediati sia gli effetti collaterali. Senza conoscenza, consapevolezza e senso di responsabilità non si può scegliere, si può soltanto restare spettatori, utenti più o meno passivi nei confronti di processi pianificati dall’esterno sulla base di modelli astratti e non sempre sufficientemente verificati.
Per conoscere meglio le diverse possibilità che gli strumenti tecnologici ci offrono, sarà importante prendere direttamente contatto con le caratteristiche strutturali dei vari codici, conoscerne a fondo le potenzialità, analizzarne minuziosamente le sfumature. All’elevato livello di sofisticazione raggiunto dagli strumenti tecnologici, unito alla crescente disponibilità di più canali, non corrisponde affatto in maniera automatica una parallela formazione all’uso e alla gestione consapevole di una pluralità di risorse così eccezionale da non avere precedenti nella storia dell’umanità. Al moltiplicarsi dei canali, non necessariamente corrisponde la capacità di discriminare, di distinguere e quindi di gestire sincronicamente i codici che tali canali prevedono.
In particolare, la pratica della complessità comunicativa pone la prioritaria necessità di calibrare forme di elaborazione specifiche e prevede un maggiore controllo nell’utilizzo consapevole dei vari codici da parte del singolo individuo, che dovrà anche sapere riorganizzare le conoscenze secondo diversificati modelli e provvedere a modalità di gestione delle informazioni disomogenee, rispettando i vari contesti di provenienza. È questa, appunto, la formazione alla complessità, che pone l’individuo nella situazione di poter effettuare scelte consistenti sulla base di una consapevole autoriflessione sugli stessi criteri di valutazione da impiegarsi. L’implicita richiesta posta dalle nuove tecnologie passa proprio attraverso un’aumentata capacità di gestione della componente visiva, intesa come capacità di percezione consapevole e di organizzazione appropriata dell’informazione che oggi ci perviene massicciamente attraverso canali a forte predominanza visiva. La necessità di educare alla multimedialità attiva, alla sperimentazione diretta della gestione della complessità comunicativa, coinvolge ogni ambiente formativo e non è riducibile all’esclusivo rapporto col video. Un’educazione alla complessità seria e matura si fonda sulle capacità di focalizzazione, attenzione, selezione, individuazione, richiamo, organizzazione, sintesi, analisi, memorizzazione, percezione ed elaborazione diversificata delle varie fonti e quindi della gestione dei processi comunicativi, esprimibili attraverso diversificati codici e realizzabili su canali multipli.
Il primo punto da verificare è il se, il perché, il come vogliamo progettare una determinata interfaccia interpretativa, un determinato sistema, per introdurlo in modalità rispettosa e armonica nell’ambito di un ecosistema comunicativo. È necessario porsi preliminarmente tutta una serie di domande, quali, per esempio: che cosa vogliamo far fare all’individuo definito nei termini di utente? Per quale obiettivo progetteremo la struttura dell’interfaccia? Sarà un’interfaccia volta a semplificare? In questo caso, i processi attivati saranno di tipo semplificatorio: si porterà l’utente ad agire sulla base del minimo sforzo e della massima economicità interpretativa. Se invece vorremo far sì che l’utente crei la sua mappa di percorrenza nello spazio delle conoscenze e venga eventualmente supportato laddove trovi difficoltà, allora i processi attivati saranno di tipo amplificatorio e si cercherà di agire sulla base dell’offerta di possibilità multiple, fra cui l’utente dovrà scegliere. Il sistema, in questo caso, interroga l’utente in relazione a ognuna delle fasi del percorso, non penalizzandolo ma affiancandolo, richiedendogli di identificare con attenzione le varie fasi e di definire accuratamente il problema che vuole risolvere nella sua natura specifica.
I due modelli non sono fra loro incompatibili, ma senz’altro diversi per obiettivi e metodi, e non devono essere mescolati. È necessario inoltre precisare che oggi viviamo in un mondo ad alta ridondanza comunicativa. La ridondanza, in una dimensione multimediale, è la ripetizione di un messaggio su più canali e in più codici differenti, tale da permettere l’accesso al messaggio univoco su più canali e in più codici qualora l’utente, avendo avuto accesso su un unico canale e in un unico codice, ne avesse trovata ostica la comprensione e quindi impossibile l’elaborazione conseguente. Ciò permetterebbe all’utente di recuperare tale messaggio ripetendolo e riutilizzando lo stesso canale e codice oppure cercando lo stesso: messaggio, naturalmente costruito in modo diverso, organizzato in un altro codice e trasmesso attraverso un diverso canale. Questa ridondanza non diventa entropia o rumore solo se l’utente è in grado di mantenere fra loro diversificate e semioticamente connotate le fonti di trasmissione dei messaggi. Ecco perché si rende assolutamente necessario un calibramento cognitivo, inteso come compresenza e non confusione fra più opzioni, che è fondamentale per garantire dell’esistenza e sussistenza di un ecosistema cognitivo che non provochi a sua volta distorsioni, dove per distorsione s’intende l’eccessiva presenza di messaggi su un unico canale, fatto che può causare la perdita progressiva di sensibilità al contesto originario dato il sovraccarico cognitivo, cui può seguire la proliferazione di versioni alterate con danno evidente.
Le nuove tecnologie, oltre a permettere l’esplorazione e la navigazione in ambienti informativi complessi, adattandosi volta per volta alle necessità specifiche del singolo utente, devono poter facilitare e promuovere un maggiore livello di consapevolezza da parte dell’individuo. Ecco perché, pur risultando strumenti di facilitazione, sicuramente non saranno e non potranno porsi come strumenti esclusivamente semplificativi, ma piuttosto come strumenti che dovranno aiutare l’individuo sollecitandolo a ripensare e ad autoriflettere, per gestire consapevolmente la logica sottostante e le implicazioni di ogni fase di un certo processo o catena di azioni. Ciò implica naturalmente uno sforzo a monte, e tale sforzo non può che iniziare proprio aumentando la consapevolezza della responsabilità sociale del progettista di interfacce. Questi dovrà essere sicuramente non solo consapevole del contenuto dei messaggi, ma anche del processo che vorrà attivare, in relazione a criteri qualitativi e quantitativi rispettosi verso il profilo professionale dei singoli utenti. Lo sforzo operato dal progettista implica una formazione interdisciplinare e complessa: non può e non deve essere proposta un’unica soluzione, globale, completa, monolitica, che può non risultare valida per ogni individuo, anzi scatenerebbe atteggiamenti di ostilità e rifiuto nei confronti del modello in corso di progettazione o archiviazione. Ogni individuo, infatti, pur operando sulla base di meccanismi cognitivi ben precisi e di processi condivisi, quali la selezione, la focalizzazione, la memorizzazione e l’organizzazione della conoscenza, di fatto attiva tali processi in modo differenziato. Ciascuno non è inoltre solo multimedialmente predisposto, ma anche multimodalmente operativo, e agisce sulla base di un sistema di presupposizioni assai forte. L’individualità delle scelte di realizzazione ci dà conto anche della variegazione delle forme molteplici dell’intelligenza e della sensibilità umane. È fondamentale allora progettare più percorsi comunicativi, che permettano all’utente di optare volta per volta per un codice piuttosto che per un altro, per una forma di interazione piuttosto che per un’altra, anche a seconda del cambiamento di contesto, di cultura e degli elementi sincronici e diacronici che giocano un ruolo sostanziale in tali dinamiche attivate.
Graziella Tonfoni