La prima rivoluzione digitale

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Redazione I Martedì

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Nell’attuale società liquida il sindacato è costretto a fare i conti con una realtà in continua trasformazione. La digitalizzazione del lavoro, lo smart working le sfide più immediate.

“Tutti i punti di riferimento che davano solidità al mondo e favorivano la logica nella selezione delle strategie di vita (i posti di lavoro, le capacità, i legami personali, i modelli di convenienza e decoro, i concetti di salute e malattia, i valori che si pensava andassero coltivati e i modi collaudati per farlo), tutti questi e molti altri punti di riferimento un tempo stabili sembrano in piena trasformazione. Si ha la sensazione che vengano giocati molti giochi contemporaneamente, e che durante il gioco cambino le regole di ciascuno.

Questa nostra epoca eccelle nello smantellare le strutture e nel liquefare i modelli, ogni tipo di struttura e ogni tipo di modello, con casualità e senza preavviso”. Cosi Bauman scriveva all’inizio del secolo rappresentando plasticamente un processo che stava nascendo e ai cui sviluppi stiamo tutt’oggi assistendo. Viviamo in un’epoca altamente relativista e fluida in cui il presente viene consumato famelicamente e il futuro sembra travolgerci e arrivare senza preavviso seppur con una forza in grado rimettere tutto in discussione rispetto al passato; un passato che non richiede di guardare indietro di decenni, ma a volte anche solo di mesi.

Nel mondo del lavoro e all’intero sistema di rappresentanza sindacale, questo processo ha subito un balzo “casuale e senza preavviso” con la pandemia da Covid 19 che ha portato ad un utilizzo delle nuove tecnologie in maniera preponderante anche in ambiti in cui le discussioni su strumenti, come ad esempio il lavoro agile e le piattaforme digitali, si stavano appena iniziando a delineare. Nondimeno, a differenza dei cambiamenti del passato, l’urto che i processi di digitalizzazione esercitano sul lavoro non favorisce una loro regolamentazione pianificata, in quanto, per intensità ed estensione, stavolta non si è di fronte ad una variazione di uno o più paradigmi, ma ad una vera e propria rivoluzione che sovverte i modelli e le relazioni, tra le persone e della collettività complessivamente intesa, ad oggi conosciuti; non per niente oggi si parla di “quarta rivoluzione industriale”, anche se di industriale ha poco o nulla.

Per una lettura del fenomeno e una migliore analisi del rapporto tra tecnologia e mondo del lavoro e delle sue forme di rappresentanza sindacale occorre sicuramente sgombrare il campo da qualsivoglia forma di “luddismo” contemporaneo, anche perché questo approccio ha già dimostrato il suo fallimento dal momento in cui si scontra contro processi che non si possono arrestare e che di per sé, come ogni mezzo, non rappresentano né il bene né il male assoluto, ma hanno dei vantaggi e dei rischi che occorre conoscere, affrontare e gestire senza perdere mai di vista la loro fungibilità nei confronti dell’individuo e della collettività e non il contrario.

La digitalizzazione dei processi lavorativi e sociali sta di fatto portando ad una trasmutazione dei meccanismi relazionali su cui era basata la società, per questo, a mio avviso, più che parlare di quarta
rivoluzione industriale dovremmo parlare di “prima rivoluzione digitale”, anche perché quello a cui si
assiste è l’avanzamento di una nuova impostazione dei sistemi e delle relazioni che si basano sempre di
più su uno scambio di dati e di informazioni veicolate da mezzi tecnologici, che di fatto ridefiniscono anche il conflitto sociale che si ripropone in forme totalmente nuove.

[…]

Leggi l’articolo completo nel numero 353 “Le mani tecnologiche” 

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